Prima l’uovo o la gallina? Work Songs & Spirituals

Per cominciare a parlare della gallina bisogna prima fare un lungo discorso sull’uovo.

Non filosofeggerò su quale dei due sia comparso prima, la scienza ha finalmente dato una risposta su quale dei due sia precedente all’altro e io sono contentissima perché posso affermare che il nostro uovo, in questo caso, sono gli spirituals o, ancora meglio, le work songs.
Avete letto bene: per poter anche solo pensare di parlare di jazz, swing, lindy hop, bisogna partire da molto, molto indietro. Diciamo indietro di circa 400 anni.

Sicuramente alle elementari la vostra maestra di musica fra una sbausciata di flauto e l’altra vi avrà parlato degli schiavi neri che nelle piantagioni di cotone scandivano i ritmi di lavoro attraverso canzoni caratterizzate dalla struttura: chiamata del solista > risposta del gruppo.
Io ero una pippa col sugo col flauto, ma i racconti di questi schiavi che trovavano un rifugio nella musica mi hanno sempre affascinata molto.
La combinazione chiamata/risposta funzionava più o meno così:

When Israel was in Egypt land
Let my people go
Oppressed so hard they could not stand
Let my people go
Tuamanguluka passami il piccone!
Let my people go

E via cantando.

I canti di lavoro nascono come mezzo di evasione dal contesto opprimente in cui gli schiavi neri erano inseriti: i testi erano semplici e riguardavano quasi sempre il lavoro  e, soprattutto, aiutavano a scandire il tempo e a sollevare l’umore.

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Lightning Long John

Work song in una prigione del Texas

Col tempo anche le tematiche si sono evolute.
Ai neri era proibito mantenere le proprie tradizioni musulmane e animiste e gli schiavisti insegnavano loro i fondamenti del cristianesimo leggendo testi tratti dalla Bibbia. Fra questi, la vicenda che più ha colpito gli afroamericani è stata sicuramente l’esodo di Mosè e degli ebrei dalla schiavitù egizia. Questa vicenda dell’antico testamento è diventata per gli schiavi neri una guida, un faro di speranza per l’idea che un giorno sarebbe stato possibile liberarsi dalla schiavitù.

Nascono così gli spirituals, che condizioneranno, nella forma e nelle tematiche trattate dai testi, gran parte dei generi musicali americani e non solo.
Inizialmente venivano eseguiti con l’ausilio di rumori prodotti dagli oggetti più disparati, dalle pentole ai coperchi, dai pezzi di ferro alle lattine. Avrei voluto sapere tutto ciò quando da piccola mia mamma mi sgridava se usavo mestoli e pentole per comporre melodie discutibilmente orecchiabili; avrei potuto dirle “sto creando un genere musicale che influenzerà la musica dei prossimi quattro secoli, lasciami fare“.
I testi erano di carattere cristiano e questo fattore è sicuramente fondamentale per il successivo sviluppo degli spirituals: gli schiavisti non permettevano agli afroamericani di professare il loro credo, ma non avevano motivo di obiettare quando venivano eseguiti brani ispirati ai testi biblici. Allo stesso tempo, i neri utilizzavano i brani dell’antico testamento come grido di dolore e metafora per la tanto desiderata liberazione.

Una delle caratteristiche che più ci interessano per capire come work songs e spirituals possano essere considerati antenati del jazz a tutti gli effetti è l’improvvisazione.
Grazie alla loro struttura chiamata del capo coro > risposta del coro, il solista aveva la possibilità di giocare con il ritmo nello spazio che gli era concesso. Una peculiarità degli spirituals è la quasi assoluta mancanza di silenzio: non esistono punti morti o pause, più il brano è pieno, più è spiritual!

Altra proprietà è il timbro volutamente gracchiato e acuto, che ritroviamo praticamente in qualunque brano jazz, sia con voce maschile sia femminile.

Le parole usate come intermezzi sono, infine, l’elemento distintivo che più mi fa sorridere, non riesco proprio a immaginarmi un brano jazz senza “yeah man”, “ohhhh yeah” e urletti vari sparsi qua e là. Negli spirituals consistevano principalmente in  parole di carattere religioso come “hallelujah”, “glory” e simili.

Esistono anche altre caratteristiche, musicalmente molto più tecniche, che gli spirituals hanno in comune con il jazz. Quelle che ho elencato sono, però, le più rilevanti soprattutto dal punto di vista dell’ascoltatore e non del musicista.

E’ importante sottolineare che gli spirituals non sono confluiti nel jazz perdendo la propria autonomia: sono nati come work songs e hanno subito modifiche consistenti per circa 200 anni, gettando le basi soprattutto del blues – di cui parlerò la prossima volta – verso la fine dell’Ottocento, ma sono tutt’oggi coltivati come genere indipendente dal jazz.

Chi non ama follemente quei cori enormi di uomini e donne che battono le mani e si muovono con lo stesso brio di Raffaella Carrà durante il Tuca Tuca?

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Io li adoro.

Soweto Gospel Choir

Alla prossima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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